Introduzione

  • Angelico Prati

    Angelico Prati (1883-1961) è stato uno studioso illustre quanto singolare: formatosi come autodidatta, è divenuto un maestro della linguistica italiana, con particolare riferimento alla dialettologia, alla lessicografia, all’etimologia e alla toponomastica. Tra i suoi molti titoli si ricordano soprattutto il Dizionario di marina medievale e moderno (1937), le Voci di gerganti, vagabondi e malviventi studiate nell’origine e nella storia (1940), il Vocabolario etimologico italiano (1951), le Storie di parole italiane (1960) e le postume Etimologie venete (1968), oltre al saggio I Valsuganotti (1923) e al Dizionario valsuganotto (1960) ripubblicati in questo progetto, che testimoniano il profondo legame affettivo con gli abitanti e con il dialetto della sua Valsugana.

  • Il Dizionario valsuganotto di Angelico Prati

    Un illustre concittadino dell’autore quale il mediolatinista Ezio Franceschini (1906-1983) concluse la sua recensione del Dizionario valsuganotto con queste parole: «Non so se la Valsugana vorrà in qualche modo ricordare Angelico Prati: ma è certo che questo suo figlio le ha donato un monumento ben più prezioso di ogni riconoscimento». Per definire un qualsiasi dizionario è invalsa non a caso la metafora del tesoro, così come per indicare il lessico di una qualsiasi varietà linguistica (dialetti compresi) si parla abitualmente di patrimonio: è una ricchezza immateriale che la Valsugana deve alla sapienza e alla pazienza di Angelico Prati, al suo amore per i conterranei valsuganotti e per il dialetto valsuganotto. È un tesoro che appare oggi tanto più importante, se si considera che il Dizionario valsuganotto riflette nella sua base di fondo il lessico di una Valsugana ancora appartenente all’Impero austro-ungarico o appena annessa all’Italia, quindi un dialetto antecedente alla progressiva sdialettizzazione o italianizzazione caratteristica degli ultimi decenni. Tenere ben presente ciò significa per l’appunto ricordare Angelico Prati anche nella sua Valsugana, farlo almeno idealmente tornare a casa, che è lo scopo di questo volume.

  • Avvertenze

    é, ó, e, o sono di suono stretto,
    è, ò sono di suono largo,
    s (tra vocali segnato ss) à un suono, che è di mezzo tra quello del toscano s e quello del toscano sc,
    ʃ è l’s dolce,
    z (tra vocali segnato zz) rappresenta la spirante interdentale sorda (aspra). Al Borgo e a Ospedaletto in sua vece usano il s, pure usato altrove dai ragazzi. A Roncegno è d’uso generale il z di pronunzia trentina, che è preferito anche negli altri paesi, soprattutto nei più grossi, da quelli che parlano meno schietto.
    La consonante dolce (sonora) corrispondente è il d (mèdo «mezzo»), in ispecie presso quelli che usano la spirante interdentale aspra. Gli altri usano il ʒ, e al Borgo e a Ospedaletto il ʃ.

    Quelli che parlano ricercato, di solito i signori, preferiscono il suffisso -aro, -ara, al luogo di -èro, -èra dei contadini, dei popolani, sicché nelle borgate e nei paesi più grandi prevale la prima forma, che è quindi comune al Borgo e a Roncegno, e prevale o è frequente a Castelnuovo e a Strigno. In Tesino è popolare e comune -aro, -ara. Del pari al Borgo e a Roncegno dicono créder, véder, ecc., altrove crédar, védar, ecc., ma presso i contadini credre, vedre, ecc. E così nelle dette borgate màschera e sim., ma negli altri luoghi màscara.
    Meno popolare è il j al posto del g (molle) in àgio, mègio, ecc., e lo udiamo più di tutto al Borgo e a Roncegno, più di rado altrove. I nomi di luoghi ànno sempre il g: Zégio (Céggio), Mogio (Moggio), ecc.
    Le pronunzie come ʃbàlgio, fùrgia, Biàʃ’gio, giàolo, bès’cia, sono scansate da chi parla meno rozzo. Alle donne mancano certe particolarità di pronunzia, come jòrno, jente, ecc.
    Il _li di parole sdrucciole è sempre mantenuto (pícoli, vàrdeli! «guardali!», ecc.); nelle parole piane il plurale è indicato (cavai, grili, ecc.) nel dizionario.
    Non si usa l’articolo (singolare) davanti ai nomi di persone maschili e ai cognomi, eccetto che al Borgo, qui forse per importazione recente trentina (I Valsug. 49), e altrove da chi imita i Trentini.
    Per le parti del discorso e altre cose rimando al mio manualetto L’italiano e il parlare della Valsugana (II ediz., Roma, 1917, pag. 26).
    Bieno si distingue dagli altri paesi per il mantenimento dell’ -e pure in ogni parola piana, fuorché dopo -n scempio (dire, missiere, pistore, pure, saltore, vegnere, ecc., e vole, pole, tole, diʃe), e per -ato, -ito (portato, fenito, marito, altrove: portà, fenì, marì, ecc.).
    Nel presente dizionario è raccolto soprattutto il parlare di Agnedo, paesetto presso Strigno, nel quale nacqui e passai parte della vita mia; ma vi sono pure raccolte tante parole e frasi udite da abitanti di altri paesi, di modo che il dizionario può rappresentare abbastanza bene lo stato lessicale del valsuganotto.
    Le citazioni di libri o di riviste fatte tra parentesi quadre, a singole voci nel Dizionario, riguardano più di tutto articoli etimologici. 

    Angelico Prati

  • Nota editoriale

    Il sito web conserva tutte le peculiarità grafiche (ò e à voci del verbo avere; l’accento nell’avverbio , su parole sdrucciole quali l’aggettivo vèneto, acuto su í e ú, grave nella negazione ), fonetiche (credense, Fieme) e morfologiche (la Brenta, della Fèrsina) della prima edizione del testo, più o meno invalse all’epoca o dovute all’uso personale dell’autore nel primo e nel terzo caso o all’interferenza dialettale nel secondo. Tale criterio è parso il più adeguato, a maggior ragione considerato il «tetragono attaccamento […] alle proprie peculiarità, fino alle virgole» di Angelico Prati. Si mantengono tali e quali anche tutte le rappresentazioni grafiche dei fonemi, con i relativi segni diacritici, e le abbreviazioni relative a libri, riviste e varietà linguistiche, il cui scioglimento, se non immediato, appare nel complesso agevole sulla base del contesto e dei riferimenti bibliografici citati più estesamente dall’autore.