dugàr

(v. dogo) – (intrans.) giocare; ondeggiare, oscillare, moversi (di qua e di là, un po’ di qua e un po’ di là); (trans.) giocare. Dugàr da ʃmato – giocare di nulla. I toʃeti i pol dugàr pu de tuto a l’invèrno. Giochi: Dugàr a la brega o a la spadeta; a la capuzzèra; al crucoleto; al fogo fogheto; a forbeʃeta; a gata òrba; a gège, o a scóndrese; a ghelìn ghelàgia; ai giotoloni, o a la cassèla; al gropo, o al zércio (al torno, se ragazzette); ai nïati; ai òssi; a la pòrcola; a pugno pugneto; a saltamusseta; a le sémole, o a le sémole e sòldi; a la setimana (e al campanòn, e a la tria); ai sòldi; a tana; a vis’ciao, o a bando, o a saltèri e sassini; al zuro. V. ai singoli termini, in questo Diz., e I Valsug. 79.

Angelico Prati, I Valsuganotti (La gente d’una regione naturale), 79. …I Valsuganotti sono moltissimo portati per il gioco delle bocce e per quello della palla, ch’è la passione anche dei ragazzi. Comunissima è la mora. Caratteristica è la mora ciamaa, nella quale si chiamano i numeri prima di buttare i diti: è speditissima e attira l’attenzione curiosa del forestiere. Pure diffusissima a Vicenza e nei paesi vicentini, si distingue subito dalla mora batua o mora longa, lenta, usata dai Trentini, e introdotta pure nella Valsugana (usa, p. e., anche nell’Umbria). È nota poi la mora mutola (mora muta). I ragazzi, come gli adulti, giocano naturalmente di piú d’inverno. Qui fo cenno dei loro giochi, almeno dei piú conosciuti:
A la brega, facendo rotolare i soldi giú per un’asse pendente, posta per esempio a un muro. Ogni ragazzo cerca di fare in modo che il suo soldo vada vicino a quello dell’altro, di modo che la distanza tra l’uno e l’altro non passi la lunghezza di un pezzetto di legno, detto spadeta. Di qui anche il termine dugàr a la spadeta. E si fa pure gettando i soldi contro un muro in modo che caschino a terra vicini l’uno all’altro, entro la lunghezza della spadeta.
al crucoleto, a noccioline. Il crucoleto è la cappa o castellina.
al fogo fogheto, a cercare un oggetto nascosto appositamente, aiutando chi cerca colle parole fogheto quando è vicino all’oggetto, fogo quando lo è ancor piú, e fogón quando sta per metterci le mani.
a forbeʃeta, ai quattro cantoni. Da noi usa giocare spesso all’aperto, servendosi di quattro alberi.
a gata òrba, a mosca cieca.
a gège = a scóndrese, a rimpiatterello.
a ghelín ghelàgia. Si radunano in diversi ragazzi in cerchio, e poi uno tocca con la mano al petto d’ognuno d’essi, a ogni parola che dice di questa filastrocca:
Ghelin ghelin ghelàgia
Martin solo pàgia
pagia pagiusco
lengua de busco
lengua de bò
scampa senò te ciaparò

Recia recin
capa molin
pèrsego seco
barba de beco
lengua de bò
scampa senò te ciaparò.
L’ultimo che viene toccato scappa e gli altri lo rincorrono.
ai giotoloni o a la cassèla, con una specie di biliardino, nel quale si buttano delle palline, e chi fa punto vince danaro, dolci o altro.
al gropo o al zércio (se ragazzi), moversi in cerchio. Al torno, se ragazzette.
ai niati, facendo dei nidi nelle siepi, e poi facendoli cercare dagli altri.
ai òssi, facendo un cerchietto di nòccioli per terra, e uno nel mezzo, e buttandovi una pietra a scaglia.
a la pòrcola, che consiste nello scagliarsi e nel contrastarsi una rozza palletta di legno (pòrcola), che si pone su una forcella (sforzèla) infissa nella terra, e che si fa spiccare (batre la pòrcola) con un colpo di randello piegato in fondo (rúmego, rumegale). I due ragazzi che giocano, al solito su un prato, si mettono l’uno contro l’altro a una giusta distanza (per esempio di 15 metri), ciascuno con un rúmego, che si tiene con tutt’e due le mani. Naturalmente la pòrcola si pone sulla sforzèla solo al principio di giocata, poi à luogo il contrasto sul terreno. Il contendersi la pòrcola davvicino si dice rumegàr (la pòrcola).
a pugno pugneto, fare a mettere un pugno sull’altro.
a saltamusseta, saltando uno sulla schiena dell’altro.
a le sémole, o a le sémole e sòldi, a cruscherella.
a la setimana, segnando in terra un quadrato bislungo, suddiviso in altrettanti quadrati quanti sono i giorni della settimana, e poi vi gettano una pietra e cercano di farnela uscire spingendola con un piede, mentre l’altro lo tengono alzato. Affini sono l campanón e la tria, che fanno i ragazzi segnando in terra dei quadrati e poi gettandovi dentro da lungi dei sassi.
ai sòldi, alle murielle, cercando di colpire il zuro, che porta i soldi; giocare a palle e santi (se col cappello il gioco si chiama cappelletto). Si dice anche a pòpi (o leoni, o cavalo) e paròle, alle Tezze a marchi (numero) e madòne (figure), in italiano arme o santi, croce o lettera, testa o lettera.
a tana, a bomba (affine è a toccaferro). I ragazzi o le ragazzette si nascondono e cercano poi di arrivare a tana, dove sta colui o colei che deve cercare.
a vis’ciao (a Spera a s’ciaovia), o a bando, o a saltèri e sassini. Un gruppo, al solito numeroso, di ragazzi si mettono in cerchio, e fanno al tocco tra di loro a chi deva fare i saltèri o i sassini. Poi fanno a rincorrersi, cercando i primi di battere colla mano sulla schiena di qualcuno dei secondi. Se ne toccano uno vien messo contro un muro, e un saltèro sta a guardarlo, tenendo un piede alzato contro di lui, perché se un altro sassin riesce a toccarlo, lo libera novamente. Avviene un po’ alla volta che tutti i sassini sono fatti prigionieri, all’infuori di uno, e allora succede ciò che è detto far la barèla: quest’ultimo passa rapido tra la fila dei sassini e quella dei saltèri, mentre i primi gridano vis’ciao!, e passa la mano sulle schiene di questi, che nella giocata seguente fanno da saltèri.
al zuro, ponendo i soldi sopra un turacciolo posto ritto per terra, e buttandovi pietre a scaglia…

Angelico Prati, Dizionario Valsuganotto, Istituto per la collaborazione culturale Venezia – Roma, 1960 (prima edizione);

Angelico Prati, Dizionario Valsuganotto, Istituto per la collaborazione culturale Venezia – Roma, 1977 (ristampa anastatica);

Angelico Prati, I Valsuganotti (La gente d’una regione naturale) – Dizionario Valsuganotto. Ecomuseo della Valsugana – Ecomuseo del Lagorai, Croxarie, Litodelta, 2023.

NOTA EDITORIALE

Il sito web conserva tutte le peculiarità grafiche (ò e à voci del verbo avere; l’accento nell’avverbio , su parole sdrucciole quali l’aggettivo vèneto, acuto su í e ú, grave nella negazione ), fonetiche (credenseFieme) e morfologiche (la Brentadella Fèrsina) della prima edizione del testo, più o meno invalse all’epoca o dovute all’uso personale dell’autore nel primo e nel terzo caso o all’interferenza dialettale nel secondo. Tale criterio è parso il più adeguato, a maggior ragione considerato il «tetragono attaccamento […] alle proprie peculiarità, fino alle virgole» di Angelico Prati. Si mantengono tali e quali anche tutte le rappresentazioni grafiche dei fonemi, con i relativi segni diacritici, e le abbreviazioni relative a libri, riviste e varietà linguistiche, il cui scioglimento, se non immediato, appare nel complesso agevole sulla base del contesto e dei riferimenti bibliografici citati più estesamente dall’autore.

Il Dizionario Valsuganotto